"In-M-Ergiamoci"

Un'immersione.

E si pensa subito al mare. Quell'infinita distesa blu che a guardarla ci si perde, antica entità di materna accoglienza, elemento vitale, approdo, specchio, desiderio, viaggio, miraggio, saggezza, inquietudine, mistero, paura, morte.

Il conosciuto e il non conosciuto , la luce e l'oscurità si confondono in essa regalandoci spesso spaesamento, un silenzio fatto di contemplazione e smarrimento.

Il suo fascino magnetico, multiforme, diventa fascinazione, incontenibile, indefinibile, orizzonte ben troppo lontano e tanto più anelato.

Ma un'immersione fa pensare anche alla nostra profondità, quella interiore, più profonda del profondo stesso, e allo scendere, scendere giù, sempre più giù. Ad un'esplorazione delle nostre cavità interiori, dei nostri anfratti, delle nostre acque e dei loro più antichi e recenti racconti.

E alla scoperta di un abisso colonizzato da milioni e milioni di essenze pulsanti, fatte di prima, dopo, forse, chissà, domani, meglio così, facevo così, vedevo così ed ora sono così...di essere, stare, crescere, ricordare, mutare, evolvere, andare, ritornare...

Uno sfingeo universo sommerso che richiama la nostra natura di nomadi immaginari. Noi, nati tutti Ulisse con la propria Itaca lontana! E può capitare, nella sua ricognizione, di uscire dalle rotte, di imbattersi nell'ignoto, trascinati dal caso dei flutti e delle correnti. Si può andare lontano e non solo con il corpo, probabilmente ancor di più con la mente, meraviglioso atlante dei nostri luoghi "non luoghi".

Oggi con Maria Rosaria, abbiamo preso il largo, abbiamo indossato la nostra migliore tuta da sub e ci siamo immersi nelle nostre acque, acque torbide, limpide, tempestose, placate, silenti. E lo abbiamo fatto con la guida di un grande maestro di nome Jason deCairesTaylor . Jason ha fatto del sommerso, del mare, la dimora delle sue creature. Opere potenti, forti come epici eroi, fermi sott'acqua senza respiro, pronti a resistere agli urti del tempo; opere pazienti, sospese, calme nella loro stasi come può esserlo un caos pronto alla trasformazione, all'abbraccio di nuove forme. Opere a tratti inquietanti, che disturbano e che è bene lo facciano, memento di azioni, illusioni, intenzioni, promesse. E ancora opere calde, anche nelle acque più gelide, pronte ad accogliere la vita, come tante ancelle di Madre Natura. Amore, c'è tanto amore in esse, amore nell'intento del loro padre, nel loro essere 'casa', conca di speranza per luoghi feriti dalla mano vorace e distruttiva dell'uomo. Opere, che sbalordiscono per la loro imponenza e commuovono per la loro capacità di essere perfetta metafora della condizione umana e delle sue correnti esistenziali. Davanti ad una sua scultura abitata da milioni di minuscole forme di vita donate dal mare, trasformata dalle forze della natura e dal tempo non ci si può che sentire spiazzati, vedere lì tutte le nostre possibilità e sfumature. Le incrostazioni, i sedimenti, le stratificazioni, che abbiamo addosso, che ci narrano la nostra storia e che ci cambiano ogni giorno nella scelta di quali trattenere e di quali lasciar andare. Livelli della nostra esperienza nascosti sotto detriti e relitti da graffiare con accuratezza per strappare la perla che giace lì in attesa.

Attraverso una ricca visualizzazione delle succitate sculture, Maria Rosaria ci ha invitato a creare la nostra scultura immersiva. Il medium della scultura con la sua tridimensionalità ci può offrire una visione tonda, completa, fatta di tutte le prospettive possibili. Una visione avvolgente e profonda, appunto, come un'immersione.

La scultura ci fa toccare, plasmare le nostre emozioni, a mano a mano, sentirne gli odori, le vibrazioni che emanano sotto le mani. Durante il processo ci si mette in gioco con tutti i sensi, l'energia è forte, possiamo muoverci insieme ad essa, dare forma a ciò che chiama, alla nostra voce interna. La scultura ci permette di mettere insieme, "colligere" , r-accogliere tutto quello che vogliamo, ma ci chiama anche a sottrarre, a "deficere" , ad avere il coraggio di staccarci dall'eccesso, a ridefinire per riconoscerci nell'essenziale, in una forma chiara, quella più eloquente per noi, proiezione del nostro sentire.

Scriveva Michelangelo: " Io intendo scultura, quella che si fa per forza di levare". La scultura si fa “per via di levare” e non “per via di porre”. Lo scultore elimina la materia, scalfisce, elimina ciò che nasconde la forma, essendo quest’ultima già idealmente presente nel materiale.

E così scriveva Vasari:“La scultura è una arte che levando il superfluo dalla materia suggetta, la riduce a quella forma di corpo che nella idea dello artefice è disegnata"

Egli ha il compito di rivelarla, attraverso un duro lavoro che è , al tempo stesso, dell’intelletto e dello spirito. L’idea è preesistente all’atto creativo; all’artista spetta il compito di tradurla in materia e dunque di renderla visibile. Una forma, quindi, che è gia nostra, presente in noi e che nell'atto creativo si manifesta, giunge a vita materiale e concreta. L'atto creativo per via del mettere e togliere esplora , ci esplora fino ad un'epifania che vede noi di fronte all'opera, rendendo vive connessioni, consapevolezze, prese di coscienza, evocazioni.

Tutto questo può aiutare ad orientarci, a trovare lo spazio che occupiamo, a fare il punto della situazione. A prenderci la responsabilità di fronte a noi stessi di togliere ciò che va tolto, in questo momento, di trattenere ciò che serve, per capire dove siamo, dove desideriamo andare, interiorizzare le nostre esperienze, il nostro vissuto e farne trampolino per obiettivi ed intenzioni.

L'analisi dei nostri operati, i racconti, i feedback ci hanno restituito ciò che volevamo arricchito dagli altri, dalle loro intuizioni, abbiamo visto così anche oltre ed altro. Maria Rosaria ci ha posto delle domande specifiche che hanno stimolato le nostre percezioni e trasformato in parole ciò che restava ancora pensiero. Le domande, osservando l'opera, hanno generato altre domande, altre riflessioni e tutto alla fine è tornato come una scultura, appunto, a tutto tondo.

Cosa hai messo insieme? Cosa sei tu in questa scultura? Dove sei? Cosa toglieresti adesso da questa tua scultura? Importante, quanto complicato, sofferente passaggio necessario: cosa sei tu adesso in questa scultura? Lascia quello che sei. Trasforma, rielabora fino a raggiungere quello che tu sei qui ed ora.

Come Taylor con le sue sculture plasma, scendi giù, non aver paura, abitati, fatti abitare, scegli da chi, da che cosa, trova il tuo respiro sott'acqua, segui il flusso che la tua acqua stessa ti regala, ampliati, e crea. Crea la tua immersione, fin dove ti vuoi spingere, fin dove hai deciso di arrivare.

Fermati lì dove ci sei tu e osserva, guardati intorno e dai vita a ciò che vedi.

Di fronte al tuo operato, in silenzio, adesso ascolta la storia che ha da raccontarti. Ti si apriranno canali inimmaginabili, si verranno a creare collegamenti stupefacenti, che ti guideranno alla consapevolezza del momento presente. E non è importante come è stata fatta la tua scultura, anche un oggetto può diventarlo, ricordi Duchamp? Che valore dai, che valore c'è in quell'oggetto? Che legame ha con il tuo mondo? Quale messaggio gli consegni?

Cura, lascia che tu riesca ad avere cura del tuo oceano, delle creature che verranno a trovarti, e che riconoscerai come pezzi di te. Lasciati curare da te, lasciati curare dalla tua acqua. E lasciati cullare, sott'acqua trova il tuo respiro sommerso. Abita. Abitati.