Report lezione "Arteterapia con l'infanzia"
Martedì 21/04/2020
Docente: Francesca Cannata

L'incontro con Francesca è stato molto interessante. Per avvicinarci al mondo dell'infanzia dovremmo, prima di tutto, ricordarci di quella infanzia, richiamarla in noi. E Francesca ci ha aiutato a farlo. Il suo discorso è stato sviluppato con molta attenzione ponendo l'accento sul nostro futuro ruolo di operatori della relazione d'aiuto.  Ci ha poi descritto il suo approccio gestaltico. La Gestalt Therapy è un tipo di approccio terapeutico basato sul rispetto per la creatività individuale e la sua espressione. Espressione come diritto di dare una forma alle proprie emozioni, al proprio sé, come possibile canale d'incontro, di relazione. Ma come? Con varie modalità atte a stimolare l'espressione individuale, prima fra tutte, parlando di bambini, l'utilizzo dei colori (Laura Mancini). La parola tedesca 'Gestalt', infatti, si può tradurre con 'configurazione armonica', 'dare una forma'. E il terapeuta può accompagnare l'altro in questo processo di elaborazione, di 'espressione' in una 'forma chiusa' di ciò che porta dentro. Una forma che è una di mille altre forme possibili.
Per mettere in pratica quanto dettoci, Francesca ci ha invitati alla prima esperienza, quella del 'Nome'. Il Nome come vocabolo per la propria identificazione, testimonia la presenza di un individuo nel mondo, ma può anche rappresentare un'etichetta, un tipo di approccio alla vita (si pensi a nomi come Gioia, Felice, ai nomi mitici, leggendari, a quelli degli avi, dei nonni). Abbiamo così disegnato, utilizzando i più svariati colori a nostra disposizione, il nostro nome in tre modi: occupando il maggior spazio possibile del supporto, occupandone la più piccola parte e trasformandolo in una rappresentazione fantastica.
Dei tre poi abbiamo mostrato quello che preferivamo.
Ma cos'è per noi un/una bambin*? Cosa ci salta in mente pensando a quel mondo che oggi, spesso, ci appare così lontano? Per rispondere abbiamo praticato un Brainstorming enunciando a Francesca tutte le parole che, secondo noi, hanno a che dare con il/la bambin*. È molto importante, infatti, al fine di poter aiutare i bambini, avere ancora la capacità di riconoscere, ascoltare ciò che del nostro bambino alberga tutt'oggi in noi, prenderci cura del nostro 'bambino interiore'. Ma se è fondamentale in vista di un'interazione di relazione d'aiuto terapeuta-bambino, questo 'incarico di cura' è benefico per tutti, a prescindere dal ruolo svolto nella vita...
Proseguendo nell'esperienza, ci è stato poi chiesto di scegliere, ascoltando tutte le parole raccolte, tre cose che sentiamo ancora vive in noi e tre che sentiamo, invece, essere un po' silenti, maltrattate e trascurate. Molto emozionante è stato ascoltare le scelte di tutti ed è significativo come queste parole scelte, 'cose bambine', appartengano al nostro presente più di quanto noi stessi possiamo immaginare. Ciò dimostra quanto quel bambino sia presente in noi e quanto richieda cure continue da parte nostra. La nostra parte bambina ci parla di bisogni e attivarla può far chiarezza su di essi, farli venire a galla, analizzarli. Partire da quello che c'e, sia esso positivo o negativo, come risorsa, può aiutare noi stessi e gli altri con i quali entriamo in relazione. E proprio dai bambini possiamo imparare tanto essendo, essi, in pieno contatto con i loro bisogni. Si pensi ai neonati, a quanto siano competenti in merito a ciò che sentono, a ciò di cui realmente necessitano.
Ritornando al discorso dell'espressione, trattato ad inizio lezione, Francesca ha precisato come parlare di espressione 'libera' sia un po' un controsenso dal momento che l'espressione è sempre libera, l'espressione è espressione. L'esprimersi, come atto in sé, è libertà, è connettersi con il proprio mondo e rappresentarlo, provando a dargli una forma. Compito fondamentale di un relatore d'aiuto, di un terapeuta, è quindi quello di creare uno spazio senza giudizio per offrire all'altro la possibilità di esprimersi, appunto, in tutta la sua naturalità, qualunque essa sia, qualunque valore abbia (bello/brutto, semplice/difficoltoso).
L'idea è quella di pagina bianca. In una relazione d'aiuto non si dovrebbe mai ricorrere ad uno schema, proprio per lasciare spazio 'bianco', 'aperto' a chi vogliamo aiutare. Così come ci si dovrebbe astenere da giudizi troppo generali riguardanti l'operato dell'utente. Piuttosto, è consigliabile, mantenersi molto sullo specifico (per es. 'mi piace questo giallo', 'mi piace come lavori', 'a te piace?'). Determinate espressioni possono generare l'inverso, facendo chiudere il soggetto ( 'introietti negativi' - gestalt), svalutando l'operato dell'utente e il nostro lavoro di terapeuti.
Come ultima esperienza pratica, siamo stati invitati da Francesca ad alzarci in piedi e ad immaginare di avere davanti un grande foglio sul quale poter disegnare liberamente, tracciare segni compiendo ampi movimenti con le braccia e con il corpo. Ed è stato molto liberatorio, oltre che divertentissimo! Abbiamo poi provato a tracciare realmente su un foglio ciò che abbiamo creato su quel gran foglio immaginario. In un secondo momento, abbiamo cercato nei nostri risultati (alcuni più astratti, altri più definiti) ulteriori forme, particolari che ci colpissero.
È stato molto stimolante, soddisfacente e, credo, che sia stato così per tutto il gruppo.
Ci salutiamo con un compito : creare un racconto partendo da un personaggio inventato costretto in isolamento. Questo personaggio dovrà parlare in prima persona e non dovrà conoscere il Covid! Vietato parlare di Covid!! Sui nostri volti, nei piccoli quadratini dello schermo che ci unisce, compare un sorriso, un sorriso... 'bambino'.

Grazie Francesca