La premessa a questa esperienza corporea è stata che ognuno è uguale e diverso dall'altro: se ci aprissimo la pelle come aprendo una zip riconosceremmo quanto c'è dentro, ma scopriremmo altresì  la nostra tipicità.
Una volta deciso insieme di fare un'esperienza sul proprio sistema respiratorio, e, su richiesta di alcuni, di osservare anche quello scheletrico, abbiamo scritto un aggettivo che ci rappresentava in quel momento e sul retro del foglio abbiamo disegnato il nostro sistema respiratorio. La consegna  dataci è stata quella di considerare ciò che andavamo a disegnare come una semplice indicazione che ci avrebbe poi aperto il percorso esperienziale.
Quello che ne è emerso è stato molteplice, molto differenziato ed estremamente stimolante. Dalla rappresentazione più scientifica, al solo contorno dei polmoni con tratto deciso, alla respirazione con tutta la pelle, a quella addominale, oppressa, lieve o strozzata. Ognuno ha mostrato e commentato il suo disegno.
Poi ci siamo bendati in modo confortevole, né troppo stretto né largo. Isolarci da alcuni stimoli sensoriali, che talvolta danno troppo potere ai riferimenti ambientali, favorisce l'accesso al contatto profondo con se stessi e la propria condizione interiore.
Saremmo stati liberi di muoverci nello spazio circostante per circa una mezz'ora. La libertà di stare in contatto col nostro respiro assumendo le posizioni di cui sentivamo il bisogno doveva essere accompagnata dall'attenzione di sottofondo di non farci invadere da pensieri fuorvianti; laddove qualche pensiero avesse assorbito l'attenzione avremmo potuto cercare ancoraggi nella voce del conduttore o in un cambio di posizione oppure nel prestare attenzione ad una parte del nostro corpo.
Avremmo potuto osservare il nostro respiro, sperimentarlo, cioè standoci in contatto, osservarlo ed assecondare la voglia di provare altri modi, altre forme: esplorare, allargare col respiro, liberare, riequilibrare, trasferire dei pieni nei vuoti con l'idea e l'aspirazione ad incidere nelle carni una nuova modalità.
Conclusasi questa fase, una volta ripristinato lentamente il contatto con l'esterno e poi col gruppo, abbiamo avuto il tempo per ritoccare il disegno aggiungendo cosa di nuovo era emerso. A turno poi ognuno di noi ha raccontato di sé e da qui sono scaturiti numerosi altri spunti di  analisi e riflessione.
Mettere sotto soglia i disturbi e le interferenze esterne significa attivare il contatto col sé e ciò può al contempo anche generare agitazione: forte la riflessione circa i fraintendimenti che ruotano attorno al concetto di libertà, perché proprio aprire e dare aria e libertà a parti nascoste può generare agitazione. Sono seguiti spontaneamente gli altri interventi che si concatenavano uno all'altro.
Un' altra faccia del concetto di libertà è quella di crearsi una chiusura che protegge, crearsi un vuoto attorno che può favorire nuove possibilità. Molte le scoperte legate a questo laboratorio: scoprire l'opposto di ciò che ci si aspetta può essere spiazzante e indurci a non dare peso a ciò che emerge: ma sono proprio queste novità a rappresentare una grande risorsa. Che lo spazio circostante “oggettivamente” limitato venga poi percepito come inaspettatamente enorme e il respiro diventi una bolla piena d'aria con all'interno altre bolle d'aria, oppure una farfalla che si libra nell'aria evadendo la reclusione, significa la scoperta che lo spazio interno può ridisegnare quello esterno e non solo il contrario, come siamo abituati e rassegnati. Desiderare di assumere posizioni o fare dei movimenti fisici che non si sarebbe pensato di voler fare, come le capriole, o mettersi a testa in giù significa attivare dei movimenti, che se non in uso vengono perduti ed il corpo in quel punto si irrigidisce ma significa anche pensare di rovesciare un'abitudine che non coincide col bisogno.
Chi ha “aperto” con la respirazione un punto bloccato si è ridisegnato con le vertebre belle distanti l'una dall'altra, chi ha sentito tutta la struttura scheletrica in correlazione col respiro ha aggiunto e completato l'immagine. Riequilibrarsi riorganizzando i pesi, sperimentando oltre gli equilibri scomodi eppure “comodi” significa anche ammettere di sapere che una volta aperti gli occhi e ritornati in relazione con il mondo fuori si potrebbe ritornare nell'abitudine corporea, perché lasciarla andare è una libertà da conquistare con calma attraverso una ricerca che oscilla in un range che da una parte tiene conto dell'importanza delle difese che generano abitudini e dall'altra, all'estremo opposto, va a vedere che succede se ci si libera da quello che ci fa male.

Paola V.