Sabbia bianca. Distesa incontaminata. Luce di Giugno. Mare ricco e pullulante di vita, almeno per qualche altra settimana. Tra 15 giorni i gabbiani si sposteranno altrove verso i luoghi senza umani e lì banchetteranno con i cadaveri che le verdi onde riconsegnano ogni giorno alla terra, scartando: pietre, gioielli, vesti e antiche bottiglie contenenti messaggi. Questo pensò l’uomo senza un occhio mentre correva ansimante sulla spiaggia rovente, assieme ad un altro pensiero – Forse li ho seminati! –

Il caldo era opprimente, ma l’uomo non pareva volersi fermare, sebbene anche i suoi pensieri stessero evaporando; lasciando al vento il compito di portarli poco più oltre di dov’era, finché uno di essi, andando verso ovest, non giunse appena dietro uno scoglio enorme; in una zona nascosta, invisibile a chiunque non si fosse inoltrato, scalando, in quel punto oscuro. Quel punto… il punto dove si era rifugiato un ragazzino che subito catturò quel pensiero – Li ho seminati!

– Dovrebbe essere qui! – esclamò nel frattempo, nello stesso momento, ma a 100 metri di distanza, l’uomo senza un occhio che affaticato raccoglieva le ultime forze per spingersi verso il mare. Poi si fermò, cadde in ginocchio ed in fine prese aria voracemente. Era giunto alla riva ed i suoi piedi sanguinanti stavano finalmente trovando ristoro con la fresca e gentile marea. Respirò, poi respirò e poi ancora respirò. Innanzi a lui, fino a perdita d’occhio, v’era l’immensa distesa d’acqua salata, perfetta, ora quieta ed ora feroce. Ne raccolse un po’ con le mani ed iniziò a lavarsi. Un frammento d’ infinito marino bagnò le sue carni da peccatore, quasi come a battezzarlo: prima la faccia imbruttita dal tempo, poi le braccia possenti, dopo il petto vigoroso macchiato da cicatrici da taglio ed infine il collo taurino. – Dieci anni senza vederti. Scusami, scusami davvero – disse al mare e mentre ripeteva queste parole come se fossero state una specie di mantra, l’acqua, logicamente salata, a tratti divenne dolce, così dolce nella sua mente da indurlo a berne un po’.

– Dovrebbe essere qui – disse Carlos, nel medesimo istante, ma ad 80 metri di distanza, cercando con le mani di trovare il punto di pressione giusto per stappare il tappo di una bottiglia, appena raccolta. – Ecco! – disse. – No! – aggiunse. – Forse ci sono – disse ancora. – Ti apri!?!??! – chiese disperato. – Merda! – esclamò arrabbiato. – Oh… Sì! Vaffanculo! – urlò felice. Dopo molti tentativi finalmente era riuscito ad aprire la bottiglia. Estrasse il pezzo di carta vecchio e consunto, arrotolato con un nastro rosso, che rimosse prontamente, poi lo srotolò e iniziò a leggere ad alta voce: “A te che scappi. A te che cerchi il silenzio. A te che cerchi il mare. Respira” ma subito una grossa onda si scaraventò sullo scoglio dove sedeva, rischiando di inzupparlo e di rovinare quel messaggio; cosa che portò prontamente il giovane ad alzarsi e a mettersi di schiena per proteggere il relitto. – CAVALO!!! – urlò. L’acqua era fredda. L’impatto potente. Il ragazzo sentì il gelo dell’inaspettato, sebbene facessero 35 gradi. – Mi hai preso di sorpresa… Non mi piacciono le soprese – borbottò imbronciato, ancora irrigidito e con il braccio sinistro aggrappato violentemente al busto. Con la mano destra, intanto, grattava nervosamente un punto della sua fronte, come a voler scacciare un pensiero appiccicatosi addosso che proprio non voleva sapere di andarsene. – Via! – Via! – Via! – si diceva. Iniziò ad agitarsi, ma proprio mentre il cuore prese a pulsare più forte, un rumore di goccia che cade lo arrestò: messaggio in arrivo. Prese il cellulare. Mamma. 17 chiamate perse.

Messaggio: “Dove sei!??!?! Ti prego torna. Io e tuo padre non litigheremo più. Non è colpa tua. Torna a casa amore”. Ma il ragazzo non ebbe reazioni. Fissò l’orizzonte. Rimase in silenzio a respirare la salsedine. Arrotolò il messaggio e poi lo fece roteare tra le sue dite, sempre nello stesso verso, sempre alla stessa velocità e sempre nello stesso modo. Intanto un eco del vento si alzò. Poi silenzio delle onde. Poi ancora l’eco e a seguire il rumore dei capricci del mare. Pian piano il movimento della marea diventava prevedibile e questo portò Carlos ad un sensazione di pace. Così, calmo e tranquillo, rilesse quel messaggio.

Intanto l’uomo tornò a correre. Andò veloce, velocissimo, realizzò un perfetto scatto sulla riva: 60 metri. 50 m. 40 m. 30m, finché non giunse di fronte ad un immenso scoglio. Gli occhi erano pesanti, le immagini sfocate e i muscoli come addormentati a causa di una pericolosa carenza di sali minerali. Fece qualche altro passo. 20 m. 10 m. 5… poi finalmente toccò la parete rocciosa e a quel punto, lo vide: un ragazzino che leggeva qualcosa. Un ragazzino che posò quel qualcosa e si mise ad osservare il mare. Silenzio. Versi di gabbiani. Ancora silenzio e poi parole confuse rivolte all’immenso mare. Un nome. Ecco, un nome, detto a voce alta. – Sì, ha capito bene. CARLOS! C-A-R-L-O-S! CAAARLOOS!!! 14 anni e tu non mi piaci – l’uomo allora guardò nel mare, in direzione dello sguardo del ragazzo, ma non c’era nessuno o forse sì? No… No, era quasi sicuro che non ci fosse nessuno, a parte il mare.

Preso allora dalla curiosità salì su quello scoglio, mentre il giovane sembrava non accorgersi minimamente di nulla. E fu allora che all’uomo venne in mente il pensiero di un messaggio da leggere, ma lo arrestò subito, colpito invece dalla pelle bruciacchiata dal sole del ragazzino. – Scusa, non ti spaventare… Io… Io mi chiamo… il mio nome è…. – non lo ricordava più. – Vabbè, non importa. Posso sedermi accanto a te? – Il ragazzo non si voltò per rispondergli, piuttosto rispose al mare – Sì… sì, è che tutta quest’acqua è troppo…troppo.... Poi non avvisi. Perché non avvisi mai quando arrivi e quando te ne vai? Ma come faccio a capire quando fare qualcosa e quando no? Ma come faccio a capire dove devo andare? –. L’uomo storse il naso, si toccò la fronte scottante, deglutì quel poco di saliva che ancora riusciva a produrre come per auto-dissetarsi, tossì e respirando a fatica si avvicinò al giovane sussurrandogli – Hey? Diavolo ragazzo non sembra che ti manchi qualche rotella. Io lo so, li ho visti i matti e tu non sembri uno di loro… allora perché parli al mare? Pensi forse che qualche granchio ti risponda? – e rise, tossendo e sputando. Ma il ragazzo rimase impassibile. – Merda forse ti si è cotto il cervello. Non dovresti stare così al sole. Ma dove sono i tuoi genitori? – Allora il ragazzo si voltò verso l’uomo e gli disse – Ho paura del mare. È imprevedibile. Tu hai paura del mare? – 

In tutta la sua vita gli era stato insegnato che alle paure va dato un nome e che se non li si riesce a dare, allora non è paura, ma qualcos’altro. E per un assassino come lui, abituato a reprimere la paura, non poteva esistere altro. Eppure quel giorno, quella domanda lo fece riflettere. Paura del mare? Il mare? Forse c’era altro, pensò. Qualcosa che in tutta la sua vita non aveva mai considerato. Il ragazzo era palesemente sfinito, cotto dal sole, le forze lo stavano abbandonando e così cadde, ma appena in tempo venne fermato dall’uomo, anch’egli esausto. Un abbraccio. Silenzio e poi, improvvisamente, rumori di navi da lontano piombarono: erano lì per il prigioniero evaso. Scappare e dove? Pensò. Era finita. Tornare dentro? Impossibile, ora che aveva rivisto il mare. – Ho paura – disse bisbigliando il ragazzo – Volevo solo un po’ di silenzio – Silenzio, una parola ricercata, dopo le urla, i pianti, gli inseguimenti, una parola giusta, una parola per quel prigioniero, che avrebbe potuto aspettare comodamente per tornare in gabbia, e che invece si tuffò, potando con sé il bambino, tenendolo stretto per riconsegnarlo al mondo. 20, 30, 40 bracciate e poi mare sopra di esso, mare che deve essere attraversato, mare bastardo, mare immenso, mare che urla, mare che uccide, mare che salva.

 

 

“(IN) CONTRO AL MARE”

In questo romanzo breve vengono mostrate due figure contrapposte non solo per età ma anche per movimento, sia esso esterno che interno: da un lato, v’è un assassino che scappa correndo verso il mare e dall’altro lato, invece, un ragazzino quasi immobile che osserva il mare. Il mare qui è un allegoria della vita, mentre la riva rappresenta per il giovane il punto d’ inizio dell’esistenza, contrapposto all’uomo che invece si trova al termine di essa. In una sospensione del tempo, quasi di “realismo magico”, il racconto intrecciato si dispiega tra pensieri intrecciati e azioni che portano pian piano i protagonisti ad “avvicinarsi” non solo fisicamente, ma anche emotivamente, finché proprio l’uno non deciderà di sacrificarsi per l’altro. In accordo con un pensiero Bariccano, ispirandomi ad “Oceano mare”, ho voluto narrare del tema dell’incontro e di come esso possa rappresentare nello stesso momento sia un punto di svolta, sia un punto di fine, calcando l’idea che l’incontro con il nuovo è sempre in sé traumatico, ma anche trasformativo; così come lo è la vita, dura, caotica e sempre in continuo movimento come il mare. 

“Il mare trasforma, il mare uccide, il mare salva…”

 

 

L'autore: D'Onofrio Raffaele

Per me il mare è sempre stato il centro di tutto. Sono nato in Perù a San Pedro, una città vicina al mare e da adottato, la prima cosa che hanno visto i miei occhi quando sono arrivato in Italia, è stato il mare di Palinuro. Quel posto, il mio posto nel mondo, mi ha sempre accompagnato in ogni viaggio interno ed esterno, proteggendomi, facendomi conoscere amici e amori ed è, infatti, a Palinuro e al cuore che ho lasciato lì che dedico questo racconto.